Benvenuto, <br>Santo Padre <br>BENEDETTO XVI!


Carissimi,

il nostro cordiale saluto al nuovo Vicario di Cristo che da “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” guiderà il cammino futuro della Chiesa.


Ci uniamo ai tutti i fedeli del mondo, alla Chiesa di Roma che ieri ha gremito Piazza San Pietro ed a tutti gli uomini di buona volontà per rendere grazie al Signore che dalle fibre più intime del suo cuore ci ha donato il Successore di Pietro.


I nostri sentimenti ripercorrono quelli di Padre Annibale che nel 1914 salutava l’avvenuta elezione di Benedetto XV.


(…) Salve, o Vicario di Gesù Cristo e successore dell’Apostolo Pietro! Salve, o Pontefice Sommo, che siedi sull’infallibile Cattedra Romana! Piangeva la Chiesa, (…) ed aspettava l’Angelo novello che la riconsolasse, che la dirigesse e guidasse in mezzo alle tristi vicende degli attuali tempi!



E la Santità Vostra, come Angelo dell’Altissimo, e più che Angelo pel sublime Mistero, apparve sul secolare soglio del Vaticano per riconfortare e guidare la Mistica Sposa di Cristo, e, quale vero Pastore delle anime, condurle ai pascoli di eterna vita! Oh, quali torrenti di gaudio celeste penetrarono popoli e Nazioni, quando si sparse pel mondo la lieta novella (…).



O Beatissimo Padre! Mentre tutto il mondo cattolico esulta, mentre tutti, amici e nemici, tengono a voi rivolto lo sguardo in aspettazione di quella celestiale influenza pontificia che è capace espugnare armi ed armati, noi, gli ultimi tra i vostri figli, veniamo ai piedi Vostri e baciandoli con profonda umiltà ed intenso Amore, Vi diciamo: O Padre buono di tutti i fedeli, volgete anche a noi un Vostro sguardo e benediteci.



Siamo formanti una pia e minima Opera dedicata agli interessi del Cuore Adorabile di Gesù, consacrata alla salvezza degli orfani abbandonati e all’evangelizzazione e soccorso spirituale e temporale dei poveri più derelitti, e votata all’adempimento di quella Divina parola del divino Zelo del Cuore di Gesù: “Rogate ergo Dominum Messis ut mittat Operarios in messem Suam”.


O Padre Santo! Noi ci gloriamo di essere figli e servi ubbidientissimi di Vostra Santità! Vediamo Dio, adoriamo Dio, amiamo Dio, serviamo Dio, nella persona Augusta di Vostra Santità! Ogni sua parola, ogni suo desiderio, ogni suo pensiero, è per noi legge santissima che l’Eterno Iddio, che l’adorabile Signor Nostro Gesù Cristo, c’impone d’operare e seguire! O Padre e Signor Nostro, non cessiamo, di levare quotidiane, sebbene indegne preci, al divino Cospetto, per la Santità Vostra, che sia ricolmata di tutti i beni di Dio, e veda il trionfo della S. Chiesa! Deh, Padre Santo! confortateci con la Vostra Apostolica Benedizione .



Benedite noi sacerdoti e fratelli, formanti la Pia Società per gli Orfanelli abbandonati, benedite tutti i nostri orfanelli di ambo i sessi, sotto la protezione del glorioso S. Antonio di Padova; benedite le Suore dedicate per le orfanelle e per gli esternati di giovinette; benedite i nostri poveri; benedite le nostre umili fatiche, e la vostra paterna Benedizione ci renderà accetti ai Cuori Adorabili di Gesù e di Maria. Amen.

Alla Santità di Nostro Signore Gesù Cristo Papa Benedetto XV, da Dio e il Prossimo, Settembre 1914)



In unione di preghiera.


P. Giorgio Nalin, Sup. Gen.

Preghiamo:

O Dio che nella serie dei successori di Pietro


hai scelto il tuo servo il Papa Benedetto XVI


Come vicario di Cristo sulla terra e pastore di tutto il gregge,


fa’ che egli confermi i fratelli,


e tutta la Chiesa sia in comunione con lui,


nel vincolo dell’unità, dell’amore e della pace,


perché tutti gli uomini ricevano da te,


pastore e vescovo delle anime,


la verità e la vita eterna.

(dalla liturgia)

Allegato:

OMELIA del Card. Joseph Ratzinger il 27 gennaio 2002 nella Messa delle ore 12.00, alla parrocchia S. Antonio in P.za Asti in occasione della chiusura dell’Anno di Padre Annibale

(ricavata dalla registrazione)

Confratelli nel sacerdozio e cari fedeli,

il Beato Annibale Maria Di Francia ha incentrato la sua vita nelle parole del vangelo che leggiamo qui in alto: Rogate Dominum Messis (Mt 9,38).


Dobbiamo capire bene la chiara identificazione della sua vita con questa parola, il dinamismo di una vita nutrita dalla parola di Gesù. Dobbiamo osservare questa parola nel contesto del vangelo di San Matteo, che coincide socialmente col contesto della vita del nostro Beato.

L’evangelista S. Matteo ci racconta che Gesù ha visitato le città e villaggi della sua Galilea e si è imbattuto in tante malattie, infermità, sofferenze. Ha trovato così confermato e vero quanto dice il profeta Isaia nella prima lettura (Is 9,1-4)e viene ripreso nel Vangelo (Mt 4,12-23) di oggi: il popolo della Galilea è “immerso nelle tenebre” e “nell’ombra della morte”.



E Gesù, con gli occhi dell’infinito, non vede soltanto questo piccolo pezzo della terra, il popolo della sua Galilea, ma vede tutta la storia umana: passato, presente e futuro. Vede in questo momento anche noi e la nostra storia, vede in uno sguardo d’insieme l’oggi e le tante parti del mondo, vede chiaramente le violenze e le ingiustizie di ogni tipo e la cecità dei cuori, vede realmente i tanti dolori degli uomini, vede quest’ombra di morte.

Egli, alla vista dell’umanità “immersa nelle tenebre”, constata come è vera la parola dell’Antico Testamento: “sono come pecore senza pastore”: non sanno da dove vengono e dove sono diretti e, proprio perché schiavi del vizio, non conoscono il perché della vita e come occorra agire perché l’esistenza sia buona, sia onesta, sia felice.



A questo punto appare nel vangelo una parola come un fulmine, difficilmente traducibile dal greco, esplagkniste, che noi traduciamo “sentì compassione”. Ma la parola esprime una partecipazione più radicale. Comprende la radice del termine “viscere” e allude al grembo materno, all’identificazione della madre con il bambino, alla compartecipazione di due vite che diventano una sola. Così Gesù, toccato dalle sofferenze della gente, da queste “tenebre”, sente compassione che diventa identificazione. Porta in sé dolori dell’umanità, che diventano suoi.

Vi appare il mistero del cuore di Gesù, cuore trafitto prima ancora di essere colpito dalla lancia del soldato romano. Dalla eternità Gesù ha un cuore, Dio ha un cuore, perché è amore e vede le sofferenze, le tenebre di questo mondo, dove è vera morte. Egli è trafitto da questo dolore e da questa percezione. Dall’essere intimamente colpito dai dolori dell’uomo, ha origine la venuta di Gesù sulla terra, l’incarnazione, il suo discendere nelle nostre infermità per salvarle.

Gesù è toccato dalla compassione per queste tenebre e vuole diradarle donando a noi la grande luce della quale parla il profeta Isaia e il brano del vangelo di Matteo.

Ho già detto che il contesto della vita del nostro Beato è in modo sorprendente identico con questo contesto della parola e dell’azione di Gesù.



La vita di Annibale comincia con l’amara esperienza dell’orfanità. Dopo la circostanza disperata della morte precoce del padre, viene affidato ad una sorella della mamma, che era vissuta sempre da sola, e non sapeva come trattare un bambino. Il piccolo Annibale vive così senza luce, senza aria, privato anche di una adeguata esperienza dell’amore. Ed appunto in questa assenza di amore che troviamo le vere “tenebre” del mondo, “l’ombra della morte” di cui parla il profeta.

Vi sono poi nella vita di Annibale due incontri con mendicanti, che diventano significativi nella sua missione, e richiamano all’incontro di Gesù con il popolo, con la gente di Galilea.

Il primo avviene quando Annibale è studente, nel convitto dei Cistercensi di Messina. Un mendicante è ammesso in refettorio per prendere un boccone; viene accolto ma poi beffeggiato dalla cattiveria dei ragazzi; offeso e umiliato si allontana, perché non può mangiare in quell’atmosfera ostile. Nel giovane Annibale accade questo: “sentì compassione” e, toccato internamente, esce per trovare quel povero, per dargli non soltanto un po’ di vivande ma un gesto di amore, ancora più necessario del cibo materiale.

Il secondo incontro avviene con un mendicante cieco, a cui il giovane Annibale domanda “dove abiti?”. Da quell’inizio è introdotto nel quartiere Avignone di Messina, quartiere totalmente disumano, dove piccoli e adulti vivono privi di ogni segno di umanità e di amore, in una miseria indescrivibile, nella notte del cuore e del corpo, l’uno senza rispetto della dignità dell’altro. E qui il nostro Beato è folgorato dalla vocazione, per cui prende coscienza che deve entrare in quel mondo, deve uscire dalla sua condizione precedente, deve ripetere l’esodo di Gesù, l’esodo della vocazione: entrare in quella miseria per portarvi un po’ di luce.



Ma ritorniamo al vangelo. Il Signore, vedendo la condizione miserevole delle folle che cosa ha fatto? L’evangelista usa quattro parole, per descrivere l’attività di Gesù: insegna, predica, cura, sana. E queste quattro parole non descrivono attività diverse, contrastanti forse, ma sono tutte esplicazioni di un’unica realtà: egli porta la luce dell’amore e con la luce dell’amore porta anche la salute fisica, corporale. Dunque egli dona due cose: il cambiamento delle condizioni fisiche e sociali con il cambiamento del cuore, illuminato dall’amore di Dio. Sono due elementi che costituiscono una cosa unica, inseparabile.

Dove non si dona la luce di Dio, dell’amore che egli ha donato con l’esistenza a tutti noi, anche il miglioramento delle condizioni materiali non dà vera luce. E vale anche il contrario: dove la luce divina non porta con sé anche l’aiuto fisico, sociale, concreto, non è quella realmente luce di Dio, che abbraccia sempre l’uomo in tutta la sua realtà, in tutte le sue dimensioni. E così, con questa azione del Signore che sana, appare, come dice il profeta e il vangelo, la grande luce che dirada l’ombra della morte.



Gesù predica, fa conoscere Dio, apre i cuori e dona la salvezza. La sua azione di salvezza non è limitata ad alcuni miracoli, che erano necessari per dare un segno ai discepoli. Essa abbraccia i secoli; è una lotta contro il male, per trasformare l’uomo, per convertire e per fare arrivare Dio nel cuore umano; una lotta che si compie in tutti i secoli.



Anche oggi Gesù sana portando la luce della parola, portando il Sacramento, che è se stesso, aiutando gli uomini perché diano anche l’amore che trasforma le condizioni materiali. Questo processo di salvezza, presente nella Chiesa dagli inizi fino ad oggi, noi lo chiamiamo “redenzione”.


Il beato Annibale, toccato dal grido di Gesù “rogate” - pregate perché il Signore mandi operai, aiuti questi piccoli senza pastore - entra nel grido del Signore e grida anche oggi a noi: “rogate”, pregate.

Ma questo entrare nel grido di Gesù, non può essere inteso solo come semplice parola, ma è parola che opera, che trasforma tutta la vita. Padre Annibale prega con tutta la sua vita, facendosi egli stesso operaio della messe di Gesù, facendosi partecipe del lavoro della redenzione, della salvezza.

Gesù stesso è la grande luce. Nella comunione con Gesù, col cuore di Gesù, il beato Annibale è divenuto una luce fra noi, e così ci parla, rende presente il vangelo, rende presente il mistero di Gesù e ci dice “pregate” e pregate non solo con le labbra, pregate con la vostra vita, divenendo partecipi dell’opera della salvezza, entrando come operai nella messe del Signore.



Preghiamo perché il Signore ci aiuti ad essere cristiani non solo per la partecipazione domenicale alla Messa, e non solo con le parole, ma con tutta la nostra vita. Preghiamo perché mandi operai anche oggi in questa messe per la salvezza del mondo, per la pace del mondo. Amen.

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